DIRETTAMENTE DALL'INDIA...

Tre mesi su un altro pianeta... Oppressa dal caldo e "attaccata" dalle zanzare... Carica di curiosita'... Pronta a scoprire una cultura totalmente diversa dalla mia...

Monday, May 14, 2007

MARTA IN AMBASCIATA… Le mie prime impressioni dopo un paio di settimane (scarse) di lavoro in quest’ufficio…


A grande richiesta, oggi parliamo un po’ del mio lavoro qui in Ambasciata… Anche, e soprattutto, perché oggi è stata una giornata davvero positiva, dato che ho potuto partecipare alla “mia” prima negoziazione (“mia” tra virgolette, perché il mio contributo alla riunione è stato pressoché nullo… ma è stato comunque entusiasmante…)! Sono davvero contenta.
Ovviamente non posso dire quali erano le parti… L’informazione è riservata, perché la strada della trattativa è ancora lunga da percorrere… Certo pubblicarlo in internet non sarebbe una grande idea… Posso solo dire che il “mio” console, ovvero il capo dell’Ufficio Commerciale, è stato davvero in gamba… E che si è molto ottimisti…
Tutto in inglese, ovviamente, perché una delle parti era indiana; con tanto di camerieri che servivano acqua, caffé e biscottini; per una durata approssimativa di due ore… Dopo il primo momento di presentazioni e di scambio dei biglietti da visita (e gli indiani che mi guardavano, tanto per cambiare, in modo un po’ strano… dopo che dicevo loro che io il bigliettino “Ministero degli Esteri” non ce l’avevo: sono solo una stagista…), il mio capo apriva le danze con un primo discorso, e poi iniziava la vera discussione, seduti tutti al tavolo della sala riunioni dell’Ambasciata. Per chi ha seguito il corso di linguistica inglese con me, Conoscenti sicuro avrebbe trovato qualcosa da ridire sulla disposizione tipicamente “occidentale” delle sedie, e sulle strategie di involvement e independence delle due parti, una occidentale e l’altra asiatica… Ma questa è un’altra faccenda che non interessa sicuramente a chi sta leggendo questa paginetta…


La foto di oggi rappresenta la sottoscritta, seduta al tavolo della sua scrivania. Come vedete, le sedie sono per nanetti, basse basse… e quindi ci si sente come dei bambini, incapaci di arrivare con la testa sopra al tavolo… Sulla scrivania: computer, stampante, e un vasetto dorato molto “sobrio”, che noi stagiste abbiamo ribattezzato “urna funeraria”, e che, dopo averlo trovato nella cassettiera della mia scrivania, abbiamo deciso di utilizzare come porta-caramelle/mentine/zuccheri/sali minerali… per i momenti di caldo torrido e di necessità di tirarsi su in qualche modo…
Dietro di me, ovviamente, una cartina dell’India… Così da farmi sognare tutte le mete che dovrei ASSOLUTAMENTE visitare in questi miei tre mesi qui…
Nella stessa stanza, ci sono poi un altro paio di scrivanie per stagiste (una è libera, l’altra è occupata dalla mia amica Sara, una ragazza completamente folle… che però del resto dice anche: “Ma tu, Marta, credi di essere normale…? Siamo tutti un po’ suonati noi che veniamo in India!”… e forse non ha tutti i torti… Lei è qui in Ambasciata già da più di tre mesi… Ha infatti prolungato il suo tirocinio MAE-CRUI per un altro mesetto!), e poi ci sono le scrivanie di due indiani, responsabili dell’Ufficio Stampa: un signore, che si occupa di impaginare e stampare la Rassegna Stampa dell’Ambasciata, e poi un'altra signora che, essendo malata, ha anche la sua infermiera personale.
Il mio lavoro da tirocinante all’Ufficio Economico e Commerciale consiste in tutta una serie di attività, che mi prendono, a seconda della giornata, più o meno tempo… alcune sono un po’ noiose, altre molto meno… Esempi: rassegna stampa, aggiornamento di un database dell’Ambasciata, pubblicazione di gare d’appalto internazionali, ricerche di vario tipo su argomenti che riguardano l’economia indiana,... I primi giorni avevo un sacco di tempo libero e poco da fare, ora un po’ meno… Il lavoro è sempre un po’ di più e c’è sempre qualcosa da fare…
Ovviamente qualche volta bisogna anche inviare qualche fax, scrivere delle mail di risposta a degli indiani che chiedono delle informazioni, oppure telefonare ad un hotel per poter parlare con un signore che alloggia lì, con cui il giorno dopo si avrà una riunione qui in Ambasciata… Anche questo era un po’ da aspettarselo, almeno però è tutto in inglese e posso fare pratica con la lingua!
Ad ogni modo, sono qui per conoscere ed imparare, e piano piano sto riuscendo a fare entrambe queste cose… Sono in assoluto la più giovane. Le altre tirocinanti hanno dai tre ai quattro anni più di me, e le persone che lavorano, anche le più giovani, hanno tutte quasi trent’anni e più… Questo è per me un grandissimo stimolo.
L’ambiente è ok. Non è troppo formale. Anche nel mio ufficio, vogliono tutti del “tu” (onestamente, sapete come sono… Non sono abituata… E ancora molto spesso mi incarto con il “lei”…). È tutto piuttosto interessante, perché sto scoprendo quali tipi di figure professionali e di possibili impieghi esistono all’interno di un posto così. Sono proprio contenta di aver scelto un tirocinio presso l’Ufficio Commerciale, che secondeo me è un ufficio parecchio dinamico.
Nel frattempo, ho conosciuto anche un po’ di persone che lavorano in altre Ambasciate, o all’UE, all’ONU, all’UNDP… Uno di questi è un ragazzo che ha studiato a Torino (il mio stesso corso di laurea)… E che si è laureato con Porro (che, per chi non lo sapesse, è uno dei miei prof. preferiti, nonché il mio relatore della triennale). Non immaginate che buffo è parlare di Università di Torino qui a Delhi, a migliaia di km di distanza!

QUESTI UOMINI DELLE “INDIE”… Valli a capire…

Alcune considerazioni sugli indiani… su questi milioni di persone (pulite e profumate o terribilmente sporche e puzzolenti… straordinariamente belle oppure decisamente bruttine… simpatiche e socievoli oppure così taciturne che comunicano con un solo movimento della testa senza fare nemmeno un sorriso…) che ogni giorno incontro per strada e che mi guardano sempre con fare incuriosito.
In dieci giorni ho imparato alcune cose della gente del posto, anche se, e questo ovunque, le persone sono come matriosche, bisogna scoprirle velo dopo velo, strato dopo strato, per arrivare al loro nucleo centrale, alla loro anima, e capirle così fino in fondo… Io ci provo, piano piano, consapevole che la piccola matriosca centrale è ancora assai lontana…
Ecco ciò che ho imparato fino ad ora.
Senso della famiglia. Forte ed estremamente radicato. È bello vedere queste grandissime famiglie allargate muoversi per la città. Ieri era domenica e ho fatto un giro all’India Gate, una sorta di arco trionfale, costruito a ricordo dei morti in una guerra fallimentare di inizio ‘900, vicino al quale c’è un parco con alcuni mini laghetti, coi pedalò che girano in tondo e i bimbi che fanno il bagno. E ci sono intere famiglie che fanno i loro enormi pic-nic e scattano foto davanti al monumento… Sono così buffi, posizionati in ordine di altezza, dal più grande al più piccolo, uno accanto all’altro, ordinati, le donne vestite con dei sari meravigliosi pieni di colori, e gli uomini con le loro solite camicie a maniche lunghe… Intere famiglie da 10-15, insieme tutte le domeniche… Bello.
Solidarietà. Sono molto solidali gli indiani. Moltissimo. Spesso, se c’è una persona in bicicletta che passa e vede un altro a piedi sotto il sole, senza conoscerlo, lo chiama e gli chiede se vuole un passaggio. L’altro ringrazia, accetta, e cosa fa? Prima di saltare sulla bicicletta, dà una spinta, per bilanciare la fatica in più che è costretto a fare il primo ai pedali. E ad ogni incrocio, ad ogni semaforo, scende (magari anche per distendere le gambe), per poi risaltare su al momento della partenza, non senza aver dato una potente spinta prima di salire.
Contraddizioni. Può un popolo così solidale permettere poi il sistema delle caste? Mah! Ancora non mi ci abituo (ci metterò una vita …) agli “intoccabili”, coloro che appartengono alla casta più umile, che dormono per strada o sui marciapiedi (gente buttata sui marciapiedi e gli altri che quasi camminano loro sopra… e quanta gente in questa situazione… Non potete immaginare, se non avete visto. Non hanno neppure giornali o coperte su cui allungarsi. Stanno lì, ai bordi della strada, per lo più rannicchiati per occupare meno spazio possibile, spesso senza vestiti o quasi, pelle e ossa, occhi incavati e sguardo perso nel vuoto). È possibile? È possibile che coloro che offrono passaggi gratuiti, che sono così cordiali da salutare molto spesso per la strada (“Namaste, Madam” mi dicono…), che quando vedono un auto in panne si fanno in quattro per aiutare, così come quando vedono una persona che spinge un carretto e non ce la fa più… poi, accettano di calpestare il corpo di un altro??
Le contraddizioni e le disuguaglianze sono evidenti ovunque, a partire dal traffico cittadino, che è spesso composto da carretti trainati da omini che lo fanno proprio di mestiere, ciclorisciò i cui autisti sono costretti a dormirci dentro (e quindi tutti rannicchiati, sul sedile del passeggero, che è di metallo e scoperto… quindi quando piove… sono spacciati!), altrimenti glielo rubano, e poi i fuoristrada, le auto di grossa cilindrata che, con l’autoradio a tutto volume, vogliono farsi vedere a tutti i costi. E se vedi i vestiti e le facce di chi guida questi mezzi capisci tutto.
Oppure le case: accanto alle bellissime ville dei dottori e dei giornalisti, ci sono le baracche dei poveri (spesso tende, che anche in questo caso… quando piove…). Accanto alla casa della mia padrona di casa, ai nostri monolocali… ecco le abitazioni decadenti della servitù (mi permetto di chiamarla così, anche se sono ufficialmente governanti, donne delle pulizie, autisti, ecc. ecc… Una vera e propria squadra…) L’altro giorno ho visto chi è la persona che fa le pulizie nella mia stanza (qui è cosa comune, avere in affitto stanza e servizio di pulizia… Alle volte ti fanno anche servizio cucina, ma, per fortuna, non è il caso mio … Mi immaginate a mangiare indiano tutti i giorni? Un fuoco al posto della mia bocca…): è una bambina… Non credo arrivi ai 14 anni, non credo proprio. Che tristezza… E io che ho scritto pure una tesina sullo sfruttamento minorile in India...
Amicizia. Si vogliono bene gli indiani. E non lo nascondono affatto. Mi fa ancora un po’ effetto, ma è cosa comune e mi ci abituerò, sono sicura. Si tengono per mano, si abbracciano, si mettono il braccio attorno alla vita o sulla spalla… Tutti. Gli amici soprattutto. Avete mai visto voi in Occidente due amici che si tengono per mano? Io, mai! Qui è cosa assolutamente comune. Non è una stretta forte, è piuttosto una stretta delicata. Che mi fa un sacco di tenerezza…
Curiosità. Sono tanto curiosi, questi indiani. Ogni volta che salgo sul risciò mi riempiono di domande. Mi chiedono da dove vengo, e alla risposta “Italy” allora tutti dicono: “Oh, Italy! You know? Sonia Gandhi from Italy!” Sempre me lo dicono, che forti, e sempre in questo modo sgrammaticato e buffo! E appena pronunciano “Italy” io mi faccio un sacco di risate…Poi ci sono i turisti, con le loro macchine fotografiche o cellulari con fotocamera, che ti incontrano e ti vogliono fare a tutti i costi delle fotografie. Mi è capitato già un sacco di volte. Loro si avvicinano e ti chiedono, col sorrisone sulla faccia, se possono fare una foto con te, o addirittura se possono farti una foto, a te soltanto! Che cosa buffa! Mi fa ancora un sacco ridere… Sembra che non abbiano mai visto gente con la pelle chiara… In effetti, persone occidentali se ne vedono proprio poche (ovviamente, escludo il quartiere delle Ambasciate). Girando nei luoghi turistici, per esempio, questo week-end, ne ho incontrati pochissimi di Occidentali. Ieri un francese (tra il resto scuro di pelle…), sabato un austriaco, e poco più. Nei mercati ogni tanto c’è una persona bianca a fare la spesa, ma è qualcosa di più unico che raro… Sembra poi ci sia un giro di prostituzione dalla Russia (come un po’ tutto il Mondo, anche l’India è stata colpita da questa “malattia”…). Forse nei luoghi di mare, tipo Goa o il Kerala, magari le cose sono un po’ diverse, ma qui a Delhi noi bianchi siamo ancora una grande novità e una netta minoranza! (e devo anche ammettere che, giorno dopo giorno, sono sempre meno bianca pure io… grazie al sole super-potente di qui, il mio colore “bianco-mozzarella” si sta lentamente “affumicando”…)

JAMA MASJID, LA MOSCHEA PIÙ GRANDE DELL’INDIA… Sono rimasta affascinata…


Signore e signori… Ieri sono entrata, per la prima volta nella mia vita, in una moschea: indimenticabile...
Sono le 5 del pomeriggio. Io e Francesca (una ragazza che lavora all’Ufficio Cooperazione e che è arrivata in contemporanea con me) decidiamo che dobbiamo assolutamente andare a visitare Old Delhi e scoprire com’è… I racconti che abbiamo ricevuto fino ad ora non sono certo dei più rassicuranti: c’è chi parla di un vero e proprio “carnaio” (nel senso di massa informe…) di gente, c’è chi parla di case fatiscenti e povertà, c’è chi parla di gran confusione e assenza di regole. Tutto vero: Old Delhi, la parte più antica della città, dove sorgono alcuni dei monumenti più belli, ma dove TUTTI sconsiglierebbero di vivere, è un vero e proprio casino!
C’è gente ovunque, che tenta di venderti qualsiasi cosa: frutta, spremute, gelati (che non potrò mai assaggiare: tre mesi di anticorpi non saranno mai abbastanza per sopravvivere!!), cappelli, foulard, tende, cuscini,… bambini che chiedono l’elemosina e ti si attaccano FISICAMENTE ai pantaloni, fino a che non sei costretto a cedere (devo comprare qualche caramella o matita colorata da regalare a questi bambini sulla strada: soldi meglio non regalarli, ma a volte è impossibile cedere perché sono davvero troppi, e alcuni saltano dentro ai risciò in corsa, vedendo che sei occidentale, pulita e vestita bene…), anche se poi quando regali qualcosa ad uno è una vera tragedia: si forma il capannello di bambini tutt’attorno ed è la fine…
Arriviamo alla moschea. L’autista di risciò decide di aspettarci all’uscita così gli possiamo pagare anche il viaggio di ritorno e noi accettiamo, ovviamente soltanto dopo aver concordato il prezzo. Ci incamminiamo verso la moschea, facendo qui e lì un po’ di fotografie e scansando qualche bimbo appiccicoso. Passiamo attraverso un metal-detector decadente, in legno (che, secondo la nostra impressione, sta lì solo per bellezza… o bruttezza, a seconda dei punti di vista…) e ci incamminiamo verso gli scalini. Saliamo. Ai lati, mendicanti allungano un braccio e chiedono un po’ di carità. Una serie di musulmani (e non) ci guardano davvero in modo strano: alcuni con curiosità, altri con fare sospettoso (Francesca ha una maglietta che le lascia le braccia scoperte, e nessuna di noi due indossa il velo…), altri guardano e basta , e io non riesco a decifrare di che tipo di sguardo si tratta…
Entriamo nella moschea. Dobbiamo pagare la quota per poter fare le fotografie all’interno (200 rupie, meno di 4 euro) e a Francesca danno un mantello per coprire le spalle. Ci togliamo le scarpe (stavolta però tengo i calzini!), che possiamo portare con noi ed entriamo. Meraviglia! È quasi il tramonto e la luce crea un effetto favoloso…
La Jama Masjid è la moschea più grande dell’India, è stata costruita nel ‘600, ha tre portoni d’ingresso, quattro torri agli angoli del cortile e due minareti… Bellissima. Dopo aver gironzolato, scattato un bel po’ di foto al cortile centrale, alle torri, ai musulmani in preghiera, decidiamo di tentare la scalata del minareto… Ovviamente alle donne da sole non è consentito entrare. Siamo spacciate! Come facciamo?? Troviamo un ragazzo austriaco da solo (l’unico occidentale all’interno di quel posto immenso!) e ci uniamo a lui, che accetta ridacchiando: “Ah, ah… Non si fidano proprio delle donne! Ah, ah!” Il bigliettaio è d’accordo: ci lascia fare i biglietti, con lui possiamo passare. Paghiamo altre 20 rupie (qualcosa meno di 40 centesimi) e iniziamo a salire. Ad un certo punto ci chiedono di pagare altre 10 rupie per depositare le scarpe (che non potevamo più portare con noi nei nostri zaini/borse… mah! Strane regole…), ma soltanto le scarpe, mi raccomando (l’austriaco voleva lasciare tutto lo zaino: “Non sia mai detto!”). Dopo una serie di ripidi scalini, arriviamo in cima alla torre. Gran bella vista da lassù! Il panorama che si gode è stupendo: già la moschea è in una posizione rialzata rispetto alla città, la torre poi sono altri 40 metri in più… Si vede tutta Delhi (o almeno fin dove si riesce a vedere, dato che si estende più in là di quello che l’orizzonte permette di osservare…)
È ora evidente ai miei occhi: un piano regolatore della città non esiste né è mai esistito! “Crescita incontrollata” (termine che alle volte si trova anche in riferimento all’economia e alla demografia del paese…) è quello che mi viene in mente…
La vista è comunque stupenda, con la luce del sole al tramonto che crea un effetto davvero poetico. Dopo essere state incollate alla grata per un po’, aver fatto amicizia con un’indiana che doveva assolutamente sapere da dove venissi e come mi chiamassi… (Era l’unica donna lassù con noi e, dopo aver scambiato con me un sorriso, aveva pensato bene di fare due chiacchiere…), scendiamo giù, ringraziamo l’austriaco, gli auguriamo buon viaggio (lui andrà a farsi un bel giro sull’Himalaya e poi giù a Sud a godersi il mare di Goa…) e ci fermiamo un poco a rimirare le nostre belle foto sugli scalini, all’uscita, dopo aver potuto re-infilare ai nostri piedi le nostre scarpette! Scavalchiamo la folla, che si è fatta ancora più numerosa, per arrivare al nostro rikshaw-man, che ci aspetta sorridente: torniamo a New Delhi (“Nuova”, per gli amici…), ai nostri alloggi.