DIRETTAMENTE DALL'INDIA...

Tre mesi su un altro pianeta... Oppressa dal caldo e "attaccata" dalle zanzare... Carica di curiosita'... Pronta a scoprire una cultura totalmente diversa dalla mia...

Wednesday, May 9, 2007

IO E LE ZANZARE… Volete la guerra? E guerra sia…


No, no, non sono allucinazioni… Ci vedete ancora bene! Quella lì, semi-straidata sul letto (direi in posizione quasi da antico romano sul triclinio) sono proprio io… Ed è proprio una zanzariera quella che vedete cadere dal soffitto e circondare il letto...
Ebbene sì, dormo in un letto/tenda a baldacchino… Uno degli escamotages che sto adottando per sfuggire all’attacco-zanzara… Chi di voi mi conosce bene, infatti, sa che io normalmente sono una sorta di “calamita” da puntura di zanzara e mi ha visto nelle condizioni peggiori, piena di punture da tutte le parti… Le foto della mia laurea (era luglio… caldo torrido a Torino nell’estate 2005, la stessa estate dell’invasione delle cavallette, tra il resto…) ancora mi ricordano che pure quel giorno avevo un bel segno, proprio sulla fronte, dovuto ad una “visitina” di uno di questi odiosi esseri…
Dato che le zanzare indiane non sono innocue come quelle italiane, ma portano malattie come malaria e febbre dengue (sembra, però, che questa non sia la loro stagione… farà troppo caldo anche per loro, evidentemente! Forse quando arriverà il monsone le cose cambieranno, ma adesso la situazione pare abbastanza tranquilla…) era bene che mi attrezzassi!
Comprata in Italia (ci credete che i supermercati di Trento vendono le zanzariere da letto?), ha viaggiato in valigia con me e l’ho montata sia nella mia camera di ostello, sia nella mia nuova stanzetta (di cui potete scorgere il letto, il condizionatore modello anteguerra, che quando lo si accende sembra che decolli un aereo, e una tenda…)
Hanno viaggiato con me tutta una serie di protezioni per eventuali attacchi da insetto molesto, ovvero:
a) Un elettroemanatore Vape, con due belle ricariche (quello che si attacca alla corrente e dovrebbe ucciderle… in teoria… in pratica a queste zanzare non sembra fare alcun effetto… e continuano a gironzolare beate per la stanza!!);
b) Due bei barattoli di Autan;
c) Alcune salviettine imbevute di Autan o simile, per quando sono in giro e si fa sera, e mi voglio spalmare un po’ di schifezza appiccicosa… ma utile...
E fu così che mi si riempì la valigia (voi direte…) Vero! Ma, del resto, “prevenire è meglio che curare”, no?
Ed infatti in questa situazione al limite del ridicolo ho soltanto un paio di punturine… Incredibile! E ci sono state un paio di notti che sono andata a dormire con decine di zanzare gironzolanti per la stanza… Le simpatiche amiche avranno deciso di cambiare bersaglio… O di restare affamate… Tiro un sospiro di sollievo quando penso alla mamma, che mi ha fatto mettere in valigia tutte queste cose… e lo faccio soprattutto quando vedo le braccia e le gambe delle mie colleghe piene di punture!
È proprio alla mamma (e anche al papà, ovviamente) che dedico il post di oggi (è carino dedicare un post ai genitori, no? Joanne direbbe che è una cosa tipicamente “italiana”, e che noi siamo esageratamente attaccati alla famiglia, ma io aggiungo che è una cosa anche molto “indiana”, dato che anche qui si vive proprio per la famiglia… E dunque questa dedica è qualcosa di NECESSARIO per una come me: un’italiana in India…).
Vorrei però dedicare il post anche ad Anna, che mi aveva detto che avrebbe pensato a me proprio nella buffa maniera rappresentata dalla foto… (le avevo infatti già raccontato della zanzariera e non poteva smettere di ridere…) La foto infatti e' stata scattata solo per lei!

Sunday, May 6, 2007

IL MIO PRIMO VERO “TUFFO” NELLA CULTURA INDIANA… La visita al tempio…

È domenica. Le mie colleghe dell’Ambasciata (tutte lavoratrici pagate… uffi… io sono l’unica stagista!) sono andate in Uttaranchal, una regione ai piedi dell’Himalaya, ad Almora, un’amena località di montagna, per fare due giorni di trekking… Io ho dovuto rinunciare a mio grande malincuore, sperando che si organizzerà a breve un’altra gita simile, perché:
1. ieri ho dovuto traslocare dall’ostello alla mia nuova casa (che è una stanzetta con cucinino e bagno privato, piccola, ma sufficientemente accogliente, in una zona abbastanza decente e ad un prezzo ragionevole…)
2. è meglio non muoversi molto durante la prima settimana in India e cercare di condurre una vita salutare e tranquilla, altrimenti si rischia lo shock iniziale e una prima crisi di salute, che io voglio accuratamente evitare per riuscire a godermi il più possibile la mia permanenza qui (per ora, devo dire, mi è andata bene a livello di salute, anche perché sto prendendo tutte le precauzioni del caso, grazie alla mia oramai amica fidata “Amuchina”…)
Sono dunque rimasta in città e ho trascorso un’intera giornata con Andrea (la ragazza tedesca che abita esattamente sopra di me), Velu (un suo amico indiano di Chennay che lavora a 30 km da Delhi e che la sta portando un po’ in giro per la città in questi giorni) e Vinty (questo nome non so assolutamente come si scriva, con ottime probabilità in tutt’altra maniera… ma poco male… si pronuncia così! Lei è una collega di Velu, che ci ha fatto un po’ da guida oggi, dato che lui, insomma, non era molto esperto riguardo al centro città…)
Velu ci ha scorazzato per la città con la macchinina di Vinty e siamo andati a mangiare in un ristorantino per turisti con il menù in inglese (incredibile! Non è cosa tanto comune qui), poi a visitare Connaught Place, la piazza centrale della città (enorme!) e il principale tempio di Delhi, ed infine a prendere un caffè in un posto che si chiama Piccadelhi e che dentro è tutto molto “British”, con le tipiche “mail boxes” e “phone boxes” inglesi, i tipici segnali stradali e segnali della metro, insomma… sembra Londra! (non mi chiedete perché uno dei primi bar in cui io sia entrata è un bar così poco “esotico”, non lo so nemmeno io, ma sembra che i posti un po’ troppo esotici siano a volte da evitare perché un po’ troppo poco raccomandabili per l’igiene… Indovinate come si chiamava il primo bar in cui sono entrata il mio primo giorno qui, insieme a due ragazze italiane, la prima stanziata in India da più di tre mesi? Barista!! Nessun commento neppure su questo…)
Bene, voglio parlarvi della visita al tempio, che è stato qualcosa di assolutamente unico…
Stava iniziando a piovere (la stagione delle piogge non è ancora iniziata, ma sembra che qualche acquazzone estivo lo si possa incontrare anche nei mesi d’estate, di caldo torrido, come quello di maggio)… Abbiamo ugualmente deciso di entrare, anche perché i templi sono in parte coperti e dunque non ci saremmo dovuti di certo bagnare… Bastava al limite aspettare che spiovesse! Le ultime parole famose…
Il tempio principale di Delhi è abbastanza interessante. Le mie amiche archittette non si spaventino per favore per la mia descrizione così poco accurata e molto da ignorante (quale io sono senza dubbio in materia…) Da quello che ho capito non è stato costruito moltissimi anni fa, ma ha la forma tipica dei templi induisti, quelli antichi. Si tratta di un bel monumento dai colori molto accesi (varie tonalità di giallo e rosso e, ovviamente, bianco), costituito da una serie di torrette più o meno alte e dalle forme più o meno allungate, da tante colonnine e tanti balconcini, e cosparso di tutta una serie di simboletti che ancora non ho idea di quello che significhino (ad esempio, ho visto alcune svastiche, che senza dubbio qui avranno un significato diverso dall’Europa, ma quale? Suggerimenti??)
Come già probabilmente saprete, in tutti i templi induisti si entra senza scarpe… Le scarpe si lasciano appena fuori dell’entrata, da un omino che le infila in uno scompartimento e consegna un numerino per poterle ritrovare lì in mezzo alla confusione, tra tutte, quando poi si esce dal tempio… Si possono tenere i calzini, ma dato che stava iniziando a piovere parecchio si è pensato bene di lasciare anche i calzini, insieme con le scarpe, e si è entrati dentro al tempio scalzi, come poi fanno tutti gli indiani, del resto, che normalmente vanno in giro con dei sandali molto pratici, ma che ti riducono i piedi in terriccio al solo camminare per le strade della città anche solo per una decina di minuti.
Lasciamo dunque calze e scarpe ed entriamo, facendo attenzione a non scivolare (gli spazi coperti del tempio sono solo alcuni (la scalinata d’ingresso e le sale di preghiera sono al coperto, ma per raggiungere le varie sale bisogna percorrere ampi cortili e strette scalinate all’aria aperta)… dunque bisogna stare bene attenti: piedi nudi su marmo bagnato danno un unico risultato, ovvero sederata su pavimento! Per fortuna, oggi non è capitato!Dopo aver lasciato macchina fotografica e cellulare all’ingresso, saliamo le scale per entrare nella grande sala. Purtroppo non posso mostrarvi delle fotografie, essendo vietato (così com’è anche vietato bere alcolici, fumare o entrare vestiti in modo poco decoroso, essendo un luogo di culto), ma l’atmosfera dovete immaginarla, stupenda, anche (e forse, soprattutto) per l’effetto che si era creato con il gran temporale all’esterno.
Fuori, un temporale pazzesco, con una pioggia fitta fitta che sollevava un bel polverone di sabbia e polvere, facendo anche cadere qualche ramo di albero (io e Andrea ne abbiamo visto cadere uno davvero gigantesco!) e dentro, la pace e la tranquillità di un luogo profumato di incenso, ricco di fiori e di persone sedute su questi grandi tappeti a pregare o anche chiacchierare tra loro. In fondo alla sala, la statua della divinità (a seconda della sala, una divinità diversa, mentre il Creatore, Brahma, lui si trova solo a Pushkar, la città “santa”, non troppo lontana da qui). Davanti alla divinità, una sorta di altare, con un omino che ti offre dei fiori da porgere alla divinità e la tintura per segnarti il pallino sulla fronte, dimostrazione che hai visitato il tempio.
Con i piedi sporchi e puzzolenti a causa delle terribili pozzanghere formatesi all’interno del tempio, che abbiamo poi tentato di asciugare in maniera maldestra e poi di corsa lavato non appena arrivate a casa, ma con un gran sorriso sulla faccia per la buffa situazione che si era creata, io e Andrea abbiamo fatto il nostro primo “tuffo” nella cultura indiana! Ci sarebbe potuto essere un modo migliore???

SCORRAZZANDO PER LE VIE DELLA CITTÀ… Come riuscire a farsi largo per le strade di Delhi…


Il post di oggi è interamente dedicato al mezzo di trasporto con cui sono solita “divincolarmi” nel gran traffico cittadino…
Dovete sapere che Delhi (città che conta soltanto nell’area metropolitana circa 13 milioni di abitanti, secondo quelle che erano le ultime stime che avevo visto dall’Italia prima di partire -ma bisogna stare molto attenti… perché questi indiani si moltiplicano come conigli, e quindi fanno subito a crescere in numero… chissà a quanti sono arrivati in quest’ultima settimana!!- ) è una città piuttosto caotica e trafficata (“piuttosto” è certamente riduttivo, sia ben chiaro…), in cui l’aria (già pesante e difficile da respirare per il calore che c’è…) diventa ancora più intollerabile a causa del traffico…(per coloro che vivono a Torino o hanno avuto il piacere di conoscere il traffico di Torino, beh, dovete sapere che non mi lamenterò mai più! Promesso!)
L’inquinamento qui è di diverso tipo:
1. da gas di scarico (certo le “super-modernissime” automobili che circolano per le strade della città non sono Euro4…)
2. acustico (mio Dio, sembra che suonare il clacson sia l’hobby preferito del cittadino medio di Delhi… Clacson che viene utilizzato in vario modo: a) in effettivo caso di pericolo – e questo è indubbiamente il caso meno comune; b) in caso di “quasi” pericolo, o semplicemente per lamentarsi a causa di una manovra un po’ sprovveduta di un qualsiasi altro conducente – cosa che invece si verifica assai frequentemente; c) in tutti gli altri casi (es. suonare ad una ragazza che cammina per la strada oppure ad un povero venditore ambulante posteggiato al lato della strada per catturare la sua attenzione e chiedere un’informazione, suonare giusto per il gusto di farlo, nel bel mezzo del nulla, perché magari si stava canticchiando allegramente una canzoncina e si aveva voglia di produrre un qualsiasi effetto sonoro… giuro che è capitato, ad un autista di risciò su cui io ero salita…) e l’unica volta a cui ho potuto assistere ad un incidente (tranquilli, una sciocchezza: una macchina che usciva da un parcheggio senza dare la precedenza…) il clacson ovviamente non è stato utilizzato!
3. da sputi (non ci crederete, ma ho letto più di una volta cartelli che dicevano “Please, don’t split on the road”… e questo ci riconduce ai nostri autisti di risciò di cui parleremo più avanti…)
4. da spazzatura, buttata fuori dal finestrino, anche abbastanza spesso.
Per meglio sopravvivere in questa “giungla”, il mezzo più efficiente è senza dubbio il risciò, che io prendo tutti i giorni, più di una volta al giorno…
Quando parlo di risciò, ovviamente intendo l’autorisciò, non il ciclorisciò… Il secondo mi sono azzardata solo una volta a prenderlo (in compagnia della mia vicina di stanza, una ragazza tedesca che anche lei sta facendo uno stage all’Ambasciata, quella tedesca ovviamente), perché quel poveretto sotto il sole cocente, magro come uno stecchino, che spinge a fatica la bicicletta, mi fa abbastanza pena (come ben sapete, non sono certo un peso piuma…) e soprattutto perché le tratte che devo percorrere solitamente sono piuttosto lunghe… il poveretto collasserebbe senza ombra di dubbio! È vero che molto spesso quello rappresenta la sua unica fonte di guadagno, ma diciamo che aspetto di percorrere tratte più brevi per prenderlo altre volte…
Parlo dunque degli autorisciò, una sorta di apetta, con tettuccio, ovviamente che va soltanto marcia avanti (per la marcia indietro, c’è l’efficiente sistema dell’omino che mette giù il piede e spinge all’indietro…), molto spesso senza le lucette posteriori, a volte con un finestrino dietro per vedere dallo specchietto retrovisore, a volte no (niente paura, gli specchietti laterali esistono! Anche se a volte l’omino deve lottare con la gravità per farli stare su…), con un tassametro rotto che non è certo cosa utilizzare (di solito si concorda il prezzo appena saliti sulla vettura), generalmente due o tre posti (in due si viaggia comodi, in tre un po’ strettini, ma ho visto intere famiglie di indiani da 5 entrarci dentro… una cosa buffissima, con piedi e sederi che spuntano da tutte le parti, e i bimbi ovviamente in piedi davanti ai genitori!), ovviamente senza frecce – il simpatico omino mette un braccio fuori dall’apetta (braccio sinistro o destro a seconda della direzione, proprio come si fa in bicicletta… esatto!) per mostrare dove sta andando a coloro che si trovano dietro di lui, ovviamente senza cinture di sicurezza, né metodi per non essere sbalzati fuori dalla vettura, ma in genere va così piano – soprattutto in salita, specie se stracarico di “piccoli indiani” – che il pericolo proprio non si pone! Per dare un’idea, non mi si sono mai scompigliati i capelli per il “forte” vento!
La cosa più buffa però di tutto ciò sono i conducenti… Omini piccoli, molto scuri di carnagione a causa delle intere giornate trascorse all’aria aperta, anche se sotto un tettuccio, per lo più giovani, ma ce ne sono anche alcuni coi capelli bianchi, molto poveri, che spesso non hanno neppure il resto da darti (e sto parlando di 10-20 rupie, meno di 50 centesimi di euro), che nella maggior parte dei casi parlano solo hindi (ti capiscono quando chiedi: “How much?” o “left” e “right”, ma già coi numeri hanno grossi problemi… e così ho imparato a contare in hindi fino a 100!) Loro meritano veramente tutto il prezzo che si paga per la corsa! Sono davvero uno spasso! Mi è infatti già capitato in questi pochi giorni che:
a) l’autista si fermasse per poter espletare i suoi bisogni impellenti dietro ad un alberello nel bel mezzo della strada principale… (Mi fa: “One minute” e scompare… Io, ingenua, mi chiedo: “Ma dove sarà finito?” e poi intuisco…)
b) il veicolo si fermasse, ovviamente nel bel mezzo di una rotatoria (che, devo ammetterlo, sono più comuni che a Trento, soprattutto nel quartiere delle Ambasciate… Chi conosce Trento, può immaginare…) e il simpatico omino scendesse, tentasse in qualche modo di riparare il motore situato nel retro e riprovasse… Non contento, perché il veicolo ancora non riusciva a partire, chiedesse alla sottoscritta (che stava morendo dalle risate…) se per favore gli girava la manopola dell’acceleratore, mentre lui trafficava coi cavi del motore… E magicamente si riparte! Ovviamente dopo aver ringraziato la sottoscritta tre o quattro volte (che comunque ha lo stesso pagato l’intera corsa, sia ben chiaro…)
c) il veicolo si fermasse perché sovraccarico e in salita (non mi è capitato direttamente, ma l’ho visto con i miei occhi…)
d) il conducente chiedesse indicazioni ai passanti su dove dovesse recarsi (questo è abbastanza comune, essendo la città molto grande e i quartieri divisi in “blocks” che normalmente vanno dalla A alla F… io abito all’A-10, per esempio, ma ho visto anche D-355…)
e) il conducente sputasse sulla strada
f) il conducente si mettesse a cantare a squarciagola e iniziasse a suonare il clacson a ritmo di musica.
Ad ogni modo, sono degli artisti… Riescono ad intrufolarsi dove nessuno oserebbe, non costano molto e arrivano più o meno ovunque… Basta fare un cenno e loro arrivano, oppure insistono perché tu, che vai a piedi in tutta tranquillità, salga a farti un giro… Come l’omino sikh davanti all’ostello, che una volta mi ha pure detto: “No rikshaw? For you, free!” Poveretto, lui era lì tutte le mattine e io sempre che gli dicevo: “No, guarda che vado a piedi… Non devo andare lontano!”
Beh, come avrete capito, ci sarebbe da scrivere un manuale su questo fantastico mezzo di comunicazione diffuso un po’ in tutto il mondo, con i nomi più diversi, tipo “Tuc-tuc”, che è decisamente il più carino di tutti… Qui a Delhi è senza dubbio un’alternativa molto più economica dei taxi (che non sono economici, confrontati coi prezzi indiani, ovviamente) e molto più efficiente degli autobus (che non passano mai, sono sempre stracarichi di gente e puzzano alquanto...)