DIRETTAMENTE DALL'INDIA...

Tre mesi su un altro pianeta... Oppressa dal caldo e "attaccata" dalle zanzare... Carica di curiosita'... Pronta a scoprire una cultura totalmente diversa dalla mia...

Sunday, May 27, 2007

VIAGGIARE SULLE AUTOSTRADE INDIANE… Credo di aver perso dieci anni di vita…

Alcuni di voi già sanno che il week-end scorso ho fatto un piccolo giretto in Rajasthan e Uttar Pradesh (sono partita il venerdì ad ora di pranzo e sono tornata domenica sera, ad ora di cena). Avevo promesso il resoconto del viaggio al più presto, ma sfortunatamente la malattia mi ha costretto a letto e tolto le forze per scrivere i miei soliti poemi, contorti e sconnessi, che mi caratterizzano…
Eravamo in tre, e abbiamo viaggiato con il “driver”, l’autista, un ragazzo che ha la mia età e che lavora spesso per l’Ambasciata. Non costa molto noleggiare auto+autista qui, poi eravamo in tre e potevamo dividere, il giro in programma era molto lungo (abbiamo fatto un totale di 11000km) e il tempo poco, abbiamo dunque preferito questa soluzione alla soluzione treno/pullman, così non eravamo vincolate ad orari prestabiliti e ad attese forzate.
Jitender, il nostro driver, ci ha scorrazzato di qua e di là ed era a nostra completa disposizione. Che lusso, no?
Oggi non voglio parlarvi dei luoghi che ho visitato (Pushkar, Jaipur, Fatehpur Sikri e Agra). Voglio parlarvi del viaggio in sé, quella che è stata per me la vera esperienza!
Voi che avete preso la Salerno-Reggio Calabria, magari anche più volte nella vostra vita, e avete imprecato contro la rete autostradale italiana e l’inefficienza del vostro Paese, qui in India penserete che le autostrade italiane del Sud sono magnifiche!
Innanzitutto, non si tratta affatto di autostrade, come noi le intendiamo. L’unica somiglianza: si paga il pedaggio (ogni tratta diversa, un diverso pedaggio, è tutta una cosa complicata…), e si paga anche a passare da uno Stato all’altro, una specie di tassa doganale (che varia anch’essa a seconda dello Stato). Altra somiglianza: per i tratti di strada normale c’è un limite di velocità: i 90 km/h. Per i tratti di “autostrada”, invece, nessun limite… Per il resto, tutto diverso. E l’anarchia è la sola regola!
Biciclette, moto (3 persone su ogni moto è la norma, a volte 4, una volta ne abbiamo visti perfino 5: papà, mamma, figlia adolescente, figlio di 10 anni davanti al padre che guidava e bambino piccolo abbracciato alla madre… ovviamente, nessuno col casco! Le donne soprattutto, loro il casco non lo indossano mai!! Sei matto sprecare dei soldi per comprare il casco ad una donna?? Mah!!), piccoli furgoncini stracolmi di indiani (pieni zeppi dentro, e poi con tanta gente attaccata alle pareti, alle scalette, magari con un piede dentro e tutto il resto del corpo fuori, magari con tutto il corpo fuori, che ti chiedi quanti chilometri resisteranno così, sorretti dalla sola forza delle loro braccia, in una strada polverosa, a respirare sabbia, e viaggiando a 50 km/h), autobus (anche quelli, stracolmi, con una marea di gente che viaggia sul tetto, tranquilla, seduta lì, e ti chiedi se anche loro pagano il biglietto o lo pagano solo quelli che viaggiano al coperto…), “cammelli-merci”, “cavalli-merci” e “asini-merci”, camion (bellissimi, tutti colorati e personalizzati, dipinti a mano, con la solita scrittona colorata “Please, horn!”… si può incitare all’uso del clacson?? Solo in questo Paese… Con un sacco di addobbi, tipo i triangoloni rossi, quelli da mettere in caso di emergenza, che loro invece attaccano sul davanti del camion, come fossero occhi…), altri vari mezzi di locomozione (carretti trainati a mano, oppure da trattore, oppure da bicicletta, tutti carichi di sacchi di farina, mattoni, animali, altre merci, con dei carichi super-sporgenti, ovviamente mai segnalati, alcuni talmente pendenti che ti chiedi: “Ma come farà a stare in piedi?”) e poi una serie INFINITA di animali di tutti i tipi che attraversa la strada: uomini, cani, mucche, scimmie, capre, cammelli, uccellini, piccioni (quelli sono ovunque e tutti li odiano!!!),… L’anarchia. A volte incontri qualche mezzo che va contromano… tutto normale, mi spiega Jitender, le regole non esistono… Si sorpassa sia a destra che a sinistra, si suona senza ritegno, i camion non hanno le frecce e quindi si butta fuori il braccio per indicare che si sta sorpassando e poi per autorizzare o meno l’auto dietro di te a sorpassare…
Ovviamente le carreggiate sono per lo più con un’unica corsia, e quindi ogni volta che si sorpassa si finisce sull’altra carreggiata e si vede la morte che si avvicina sempre di più, con il volto di un camion che ti sta venendo addosso… È un continuo cambio di corsia, e di rientri rapidi, non appena si scopre che non ce la si fa a sorpassare… Cosa che si può sostenere per qualche chilometro, ma per 11000?? Ho perso dieci anni di vita, ve l’assicuro, anche perché ho goduto dell’ebbrezza di viaggiare tutto il tempo seduta davanti, accanto all’autista, e ho potuto ammirarne le grandi “prodezze” e “braverie”…
E ho potuto vedere deserti, siccità, vegetazione rachitica, tantissima miseria, bimbi magrissimi che trasportavano pesanti carichi sulle loro teste, donne vestite con sari bellissimi e coloratissimi, camion rovesciati in mezzo alla strada, un paio di incidenti (di cui uno brutto brutto, con un camion completamente bruciato), scene di circo, con questi motociclisti che trasportano di tutto, anche sulle loro teste,… Un’esperienza vera e propria! Purtroppo non ho fotografie da farvi vedere (perché si viaggiava spediti e le foto venivano tutte mosse, e poi io sono stata con gli occhi sbarrati e vigili per tutto il viaggio…), ma nessuna foto renderebbe l’idea… questo è sicuro!

MALESSERI… E tutti mi dicono: “Tranquilla, Marta, è l’India!”

Eccola qui… È arrivata… La stavo aspettando. Dicevano tutti che una bella visita dal dottore è un modo come un altro, forse il più comune, per inaugurare la propria permanenza qui in India. E così è stato: dal dottore (dalla dottoressa, per l’esattezza, una simpatica signora indiana che ha studiato a Londra e che quindi comprende perfettamente i problemi di noi occidentali sfigatini, che qui in India sembra proprio non possediamo alcun tipo di anticorpo…) ci sono andata giovedì, dopo tre nottate insonni e due giornate passate poi a letto a cercare di recuperare le forze (sapete tutti come io amo molto poco prendere medicine e andare dal dottore, quindi ho voluto aspettare che il male passasse da solo, ma così non è stato, ovviamente!)
Il famoso “male d’India”: quel malessere che ti prende un po’ all’improvviso e sembra proprio che ti succhi via tutte le forze… Che ti costringe a letto, perché anche stare in piedi e fare un solo passo diventa troppo faticoso… Che genera strani movimenti nel tuo ventre e fa del bagno il tuo migliore amico… il luogo della perdizione! E il caldo che fa in questo periodo dell’anno di certo non aiuta affatto!! Fa diventare ancora più deboli e fiacchi, e fa venire una gran voglia continua di dormire…
A proposito del calore, giovedì è capitata una cosa buffissima: mi stavo misurando la temperatura, per vedere se avevo o no la febbre, e il termometro ha iniziato ad andare da solo… all’aria… Misurava la temperatura interna di casa: 32°… 33°… 34°… Per fortuna sui 34° si è fermato: la mia stanza non aveva la febbre!! Potete immaginarlo? 34° al chiuso, con un ventilatore che va in continuazione, per far girare un po’ l’aria… E nemmeno la notte si scende al di sotto di tale temperatura…
Ora due parole sullo studio medico indiano dove sono stata, per farvi fare le solite risatine della giornata.
Lo studio consiste in una stanzetta, situata nello stesso palazzo dove la dottoressa abita, ma al piano superiore rispetto al suo appartamento. Arrivo lì con Sara, la ragazza che mi aveva consigliato il posto. La dottoressa non c’è. È uscita. Le domestiche parlano solo hindi. Non capiamo quasi nulla di quello che ci dicono, ma riusciamo a trovare il modo per farci dare il suo numero di telefono e riuscire così a fissare un appuntamento. Per fortuna, però, proprio in quel momento, arriva lei, gentilissima, mi chiede di aspettare 15 minuti e poi è a mia disposizione. Entro nello studio. Io, occidentale, abituata al lettino sterilizzato, e agli studi italiani, pieni di apparecchiature e aggeggini, rimango abbastanza colpita nel momento in cui entro in questo posto, che sostanzialmente è una camera da letto. Letto matrimoniale al centro della stanza, una scrivania con sopra uno stetoscopio e dei fogli, e poi un paio di sedie per i pazienti. Niente lettino, niente bilancia, niente tavole per la vista, nessun libro di medicina, nessun armadietto contenente medicinali, niente di tutto quello che potrebbe farmi sembrare quella camera da letto qualcosa di diverso da una semplice camera da letto. Per visitarmi, la dottoressa mi fa sdraiare sul lettone (comodo… un bel pisolino l’avrei fatto volentieri…), mi riempie di domande e alla fine mi scrive quali medicine devo prendere e con quali dosi. Pago 400 rupie (circa 7 euro) e la visita è terminata.
Vado poi in farmacia. Per altre 90 rupie (1 euro e mezzo, circa) compro i tre medicinali prescritti. Che non si vendono, ovviamente, nello scatolino, con il foglietto illustrativo, ecc ecc, come in Italia. No. Ti aprono la scatola, e ti tagliano dalla confezione il numero esatto (o poco più) di pillole di cui tu hai bisogno. Geniali, questi indiani, ad evitare gli sprechi!!!
Per fortuna, dopo l’intervento della dottoressa e della chimica-farmaceutica, sono tornata in me, con i miei soliti sorrisi, un colorito ed un aspetto decisamente più sano rispetto a quello di qualche giorno fa, ed i miei soliti occhi grandi, non più tanto assonati. Si riparte!