DIRETTAMENTE DALL'INDIA...

Tre mesi su un altro pianeta... Oppressa dal caldo e "attaccata" dalle zanzare... Carica di curiosita'... Pronta a scoprire una cultura totalmente diversa dalla mia...

Monday, July 23, 2007

IL MIO LAVORO DA INTERPRETE… Due giorni un po’ diversi dal solito…

Circa dieci giorni fa bussa alla mia porta la padrona di casa, dicendomi che c’era una specie di emergenza da risolvere e che io ero l’unica persona che poteva farlo… Il marito di una sua carissima amica doveva incontrare per lavoro due italiani. Questi due arrivavano a Delhi nel giro di pochissimi giorni e ovviamente non spiccicavano una parola di inglese…
Questo significava che serviva un interprete. Una persona che potesse metterli in comunicazione e tradurre tutto quello che loro si dicevano. “Vuoi farlo?” – mi chiede la padrona di casa. Dopo averci pensato su un po’ e dopo aver chiesto al mio supervisore se potevo prendermi due giorni di ferie (e, ovviamente, aver ottenuto risposta affermativa), accetto.
I motivi sono molteplici:
1. fare qualcosa di un po’ diverso dallo stare 8 ore davanti al computer;
2. mettere alla prova il mio inglese e le mie capacità di dividere il cervello a metà … (ed usare, ovviamente, le due metà correttamente ed al momento giusto);
3. (“last but not least” – come direbbero gli inglesi) guadagnare un po’ di soldini, cosa che non guasta mai, soprattutto se si sta facendo uno stage di tre mesi non pagato in un Paese straniero anche se questo è l’India che, pur essendo super-economica, riguardo certe cose costa… Considerando, oltretutto, che gli interpreti non sono pagati male, neppure in India…
Accetto. Si tratta di un lavoro di due interi giorni, dalla mattina alla sera, pasti compresi. Le parti da mettere in comunicazione sono un produttore di vestiti (soprattutto in pelle) indiano e il suo compratore italiano, una ditta che fa soprattutto modelli per gli stilisti (anche nomi importanti, devo essere sincera…). I miei datori di lavoro sono gli indiani; gli italiani sono i loro ospiti.
Mi viene a prendere il signore indiano la mattina presto. Andiamo subito all’hotel a prendere gli italiani: toscani 100%, con accento “poco” pronunciato… Simpatici, ma italianissimi (nel bene e nel male). Andiamo subito alla fabbrica principale, dove c’è l’ufficio dell’indiano. Fabbrica decisamente indiana, ma non troppo diversa da quello che potrebbe essere una simile fabbrica in Italia. Unica differenza rilevante: due donne in totale. Sono tutti uomini, per lo più giovani (avranno la mia età o poco più)… Uomini alle macchine da cucire, uomini-sarti, uomini al taglio delle pelli, uomini all’imballaggio dei capi, uomini dappertutto… Come sempre, del resto, in questo Paese…
Trascorriamo la mattinata dando indicazioni su come fare il lavoro, accordandoci su varie produzioni e varie cose da far fare alla fabbrica in questi due giorni ed in futuro, e poi andiamo a pranzo… Imparo nel frattempo tutta una serie di termini tecnici, che non utilizzerò mai più… (credo). “Imbottitura”, “fodera”, “frisellina” (quando dovevo tradurre questo, giuro che mi sono messa a ridere…), e vari altri.
Andiamo a pranzo nel ristorante di un albergo di lusso. Sì, perché in questo Paese è così: se si vuole andare nei ristoranti chic, quelli super-eleganti, si va negli hotel 5 stelle (potete immaginarvi cosa ci faccio io in un hotel 5 stelle…) e poi andiamo a visitare le altre due fabbriche della stessa ditta: quelle che fanno solo ricami.
E qui la mia vera e propria esperienza… Quartiere povero, degradato e sporco della città. Palazzo decadente. Bagni pubblici proprio accanto all’ingresso del palazzo. Sì, perché in India ci sono un sacco di bagni pubblici. (Si tratta di bagni aperti, cosa credete!) Sostanzialmente un muro con delle piccole divisorie, e con dei buchi vicino alla parete, per fare andare i bisogni direttamente nelle fognature, o qualcosa del genere… Purtroppo non ho mai guardato troppo attentamente, dato che la cosa non è molto gradevole… ed il puzzo è talmente forte che molto spesso la mia mano finisce davanti alla faccia per tappare il naso! Sono ovunque, anche nei quartieri più moderni e puliti. Sono accanto alla strada, mica nei posti appartati! Credo siano stati “brevettati” per ridurre il numero di gente che piscia in mezzo alla strada, senza però ottenere grossi risultati, devo essere sincera (uomini in piedi, girati di schiena, in mezzo alla strada, se ne vedono ovunque)…
Entriamo dentro. Saliamo le scale. Sporchissime. Senza ringhiera. Arriviamo al secondo piano. Una serie di stanzette senza finestre, senza aria condizionata né ventilatori, con la sola luce artificiale ed una serie di indiani seduti per terra a ricamare. Nessuno strumento particolare di lavoro. Solo manodopera, niente tecnica. Tutti uomini. Ragazzi che hanno sicuro meno di 25 anni (ma anche più di 14, per fortuna). Chiedo alcune informazioni sulle norme e sembra che sia tutto in regola. Sono nei limiti del numero massimo di persone da poter mettere all’interno di una stanza. Il caldo è opprimente. Appena usciti, dobbiamo lavarci la faccia perché abbiamo sudato come maiali. I ragazzi dentro al lavoro erano infatti tutti quanti senza maglietta. Se l’erano messa addosso appena siamo arrivati noi. Li vediamo al lavoro per un po’ e poi scappiamo via.
Anche l’altra fabbrica è molto simile. Torniamo agli uffici. Poi andiamo a cena ad uno dei ristoranti più cari di Delhi. “Per tirarci su il morale” – penso io. Mangiamo benissimo. Io però rimango un po’ a pensare alla pelle scura tutta sudata dei poveretti, che vivono con uno stipendio di circa 80 euro al mese (a quanto ci è stato detto… spero sia la verità…).
L’indomani lavoro simile. Niente di speciale da raccontare dunque. Esperienza utile. Per il mio inglese, per rendermi conto di quello che sono capace di fare, per me…Dopo aver scritto la mia tesina di laurea triennale sulla manodopera minorile impiegata in India nella produzione dei tappeti non credo che avrei potuto sperare qualcosa di meglio che andare a vedere una serie di indiani ricamare le pelli…

4 Comments:

Blogger pin drop violence said...

il vostro stile di scrittura è un'arte in sé .Gli auguro il la cosa migliore nella vita.

July 24, 2007 at 1:27 AM  
Blogger lau said...

una experiencia única, por todo, como tú dices: ser intérprete, el inglés y ver dónde se hacen nuestras ropitas! para la próxima vez que nos pongamos una chaqueta... y me ratifico en tu buena escritura! cuando la "bitácora" publicada?

July 27, 2007 at 1:07 AM  
Blogger Unknown said...

ciao sono monica quella che ahai conosciuto a birmingham tanti anni fa! come stai? ho visto il link al tuo blog su quello di chiara ed eccomi qui! in India.... cavolo! in bocca al lupo ed un bacione monica

July 28, 2007 at 6:07 AM  
Anonymous Anonymous said...

Cmq non e' vero che non posto piu' nulla!
Buon 2008 da Liverpool!:)

December 30, 2007 at 3:14 PM  

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